
Scuola ed educazione – i suoi aforismi
Poiché insegnanti intransigenti mi rubarono la gioventù.
(M. Arnold)
Il primo movente che dovrebbe spingerci a studiare è il desiderio di accrescere l’eccellenza della nostra natura e di rendere un essere intelligente ancora più intelligente.
(Montesquieu)
La cultura è ciò che rimane quando si è dimenticato tutto.
(Herriot)
Tutti gli uomini per loro stessa natura desiderano imparare.
(Aristotele)
Io ho notato che, almeno a Lettere, quelli che si laureano con maggiore ritardo sono spesso i migliori […].
Studiano per piacere, per coltivare se stessi, per restare il più possibile studenti.
(A. Berardinelli)
L’essenziale non è quello che si sa, ma quello che si è.
(G. Pontiggia)
Molte lauree, molti diplomi, non fanno dell’Italia un paese di cultura.
(C. Alvaro, L’Italia rinunzia?)
Erasmo trovava un modo efficace per difendersi dagli ultimi maestri di Scolastica: si addormentava sui banchi.
(G. Pontiggia, Il giardino delle Esperidi)
L’Italia è il paese dei diplomi, delle lauree, della cultura ridotta soltanto al procacciamento e alla spasmodica difesa dell’impiego.
(C. Levi, Cristo si è fermato a Eboli)
Tutto quello che ho per difendermi è l’alfabeto; è quanto mi hanno dato al posto di un fucile.
(P. Roth, Operazione Shylock)
Lavoro in una società elettrica milanese d’un lavoro totalmente diverso e lontano dalla mia naturale curiosità. Il mio gran male è stato sempre e sarà sempre uno: quello di desiderare e sognare, invece di volere e fare. […] Se non avessi addosso la sifilide della laurea, potrei cavarmela forse meglio.
(C.E. Gadda, lettera a Ugo Betti)
Ecco già i primi scolari seduti nel primo vagone, pieni di sonno e d’ansia perchè non sanno se ciò che li aspetta a scuola non sia qualcosa di orribile.
(T. Bernhard, Gelo)
Anche una scuola seria e coerente può servire a poco finché le famiglie praticano e sollecitano la massima permissività. Una conseguenza, per cominciare dall’infanzia, sta in quell’indagine Ipsa dalla quale risulta che i figli d’italiani hanno fama d’essere più maleducati degli altri, francesi, americani, greci, inglesi o spagnoli. Poi, con il crescere, vengono assolti e blanditi persino se pretendono d’essere insieme contestatori moralisti e onnivori consumisti. Anche se una minoranza delle ultime generazioni coltiva il rigore dello studio e affronta la vita come res severa , prevale il prolungamento estenuato dell’adolescenza. Basta solo aggiungere che fra prove d’esame indulgenti e famiglie negligenti l’incultura è fenomeno di massa, dalle scuole medie fino ai corsi universitari che moltiplicano i disadattati con o senza laurea.
(A. Ronchey)
Una volta Gianni Brera, parlando di uno sportivo, un ciclista, notava che era nato e vissuto in provincia: solo in provincia, scriveva, si coltivano le grandi malinconie, il silenzio e la solitudine indispensabili per riuscire in uno sport così faticoso. Non è così anche per lo studio?
(M. Belpoliti)
La maggior parte dei giovani crede di essere spontanea, mentre è soltanto maleducata e grossolana.
(F. de la Rochefoucauld)
Il mio diploma da baccelliere non mente: padrone di una ignoranza enciclopedica.
(C. Obligado)
Credo alla pedagogia repressiva. Con i ragazzi bisogna essere duri.
(I. Calvino)
Molti candidati alla laurea in Filosofia debbono farsi aiutare da un insegnante privato a scrivere una tesi, non per quanto riguarda la conoscenza della materia o il merito scientifico, ma per poter presentare un inglese che abbia un minimo di semplicità, chiarezza e purezza. I miei colleghi della facoltà di legge spesso non sanno dire se uno studente conosce o no il diritto a causa della sua incapacità di esprimersi coerentemente sull’argomento in discussione.
(M.J. Adler, Come si legge un libro)
Ci sono persone colte persino tra i professori.
(B. Croce)
Agli esami, gli sciocchi fanno domande cui i saggi non sanno rispondere.
(O. Wilde)
La lezione magistrale è diventata inutile dopo l’invenzione di Gutenberg.
(Siguier)
Le istituzioni da un lato proteggono e rassicurano, dall’altro ci rubano a noi stessi, ci espropriano dell’esperienza che facciamo di persona: la ignorano, la dichiarano inutile, non sanno che farsene. Le istituzioni ci comunicano anonimamente che la realtà di ciò che ognuno di noi è, di quello che ci succede, è irrilevante, non conta. Come ogni altra istituzione, la scuola prescinde dagli individui. Ma se c’è una cosa che conta per chi deve imparare e studiare, è cominciare presto a fare i conti con quello che si è e con quello che la vita è per ognuno, a qualunque età. Perciò il vero e buon insegnante dovrebbe essere metà dentro e metà fuori la scuola. Dovrebbe insegnare che la scuola ha il dovere di entrare in rapporto con tutto ciò che avviene altrove, fuori. La scuola è un luogo in cui ci si esercita. Ma esercitarsi a scoprire, immaginare, usare la volontà e la memoria, essere responsabili, non si può farlo per la scuola. Si deve farlo per qualcosa che è al di là della scuola. L’insegnante dovrebbe far capire agli studenti che la prima cosa da imparare è diventare autodidatti.
(A. Berardinelli, “La prima cosa da insegnare a scuola è come diventare autodidatti”,Avvenire, 11 settembre 2010)
Prima bisogna sapere il latino, e poi bisogna dimenticarlo.
(Montesquieu)
Lo studio è sempre stato per me il rimedio sovrano contro il disgusto della vita, e non ho mai provato un dolore che un’ora di lettura non sia riuscita a far svanire.
(Montesquieu)
Il più certo modo di celare agli altri i confini del proprio sapere è di non trapassarli.
(G. Leopardi)
Passare troppo tempo a studiare è pigrizia.
(Bacone)
Se insegni, insegna anche a dubitare di ciò che insegni.
(J. Ortega y Gasset)
Nulla è più utile di quegli studi che non hanno nessuna utilità.
(Ovidio)
Gli uomini, mentre insegnano, imparano.
(Seneca)
L’esercizio fisico, anche quando è obbligatorio, non fa male al corpo; ma la conoscenza ottenuta per obbligo non rimane nella mente.
(Platone)
Educa i ragazzi col gioco, così riuscirai meglio a scoprire l’inclinazione. naturale.
(Platone)
Non studiavo niente, e perciò imparavo molto.
(A. France)
Tutti i metodi gradevoli per insegnare ai bambini le scienze sono falsi e assurdi, perché non è questione di imparare la geografia o la geometria, ma di abituarsi al lavoro, perciò alla noia.
(F. Galiani)
Tutto quello che può fare per noi l’università o qualsiasi scuola superiore è sempre ciò che fu incominciato dalla scuola elementare: insegnarci a leggere.
(T. Carlyle)
Chi sa fare fa, chi non sa fare insegna, chi non sa insegnare amministra.
(anonimo)
Dottore in niente.
(Così si autodefiniva G. Debord)
Il primo movente che dovrebbe spingerci a studiare è il desiderio di accrescere l’eccellenza della nostra natura e di rendere un essere intelligente ancor più intelligente.
(Montesquieu)
La stessa università non mira a formare dei critici letterari o degli intellettuali criticamente consapevoli, ma degli specialisti e dei tecnici.
[…] Gli studenti universitari non sono più frequentatori di librerie e acquirenti di libri: le loro biblioteche personali tendono a ridursi a qualche centinaio di capitoli fotocopiati in vista del prossimo esame e sempre più raramente sono in grado di leggere per intero e di apprezzare un libro di un certo valore culturale che esuli dal campo ristretto delle loro competenze universitarie.
Esistono, certo, alcuni appassionati lettori o perfino cultori maniacali della carta stampata. Ma si tratta di pittoresche eccezioni: magari studenti fuori corso traviati dalla lettura disinteressata, impiegati comunali o commessi di librerie di provincia che a trent’anni non hanno deciso che cosa essere e che cosa fare. Forse sono loro il sale della terra, ma sono un condimento insufficiente.
(A. Berardinelli, La forma del saggio)
Una società che ha considerazione più per i titoli (il “pezzo di carta” ad ogni costo) che per la professionalità ed il lavoro ben fatto.
Ecco perché i bravi artigiani scarseggiano mentre i cattivi diplomati e laureati, che poi non trovano un impiego adeguato al loro titolo, sono in aumento.
Negli Usa (dove ho fatto ricerca per molti anni alle dipendenze della University of Washington) un bravo amministrativo, un tecnico capace, un fattorino puntuale è stimato (da tutti) di più di un mediocre dirigente.
E là gli studenti chiedono alla loro Università un’ottima preparazione, non importa a quale costo (in denaro e duro studio), invece di un pezzo di carta che, nell’economia oramai globalizzata, è buono solo per scriverci su dall’altro lato.
(G. Rispoli)
Dalla culla e non dalla scuola deriva l’eccellenza di qualunque ingegno mai fusse.
(P. Aretino, Lettere)
La cultura […] è organizzazione, disciplina del proprio io interiore; è presa di possesso della propria personalità, e conquista di coscienza superiore, per la quale si riesce a comprendere il proprio valore storico, la propria funzione enlla vita, i propri diritti, i propri doveri.
(A. Gramsci, Socialismo e cultura)
Un pezzo di carta in casa, fa sempre comodo, per la pulizia personale.
(I. Silone)
Se i professori non fanno che parlare di quello che loro hanno capito, di cosa parlano i libri?
(G. Celati, Quattro novelle sulle apparenze)
Le frasi destituite di senso hanno grande effetto su taluni giovani, i quali chiedono alla vita una sola cosa: fare, con il cervello, la minor fatica possibile. In subordine, avere un po’ di quattrini in tasca.
(C.E. Gadda, Meditazione breve circa il dire e il fare ne I viaggi la morte)
Ma la laurea non la conseguii mai, perché non ne avevo alcun bisogno, e poi mi sembrava superfluo comprarmi una tesi per duecento marchi e mettermi a dissertare per un’ora e mezzo su qualche argomento generale quale, ad esempio, la letteratura russa.
(S. Marai, Confessioni di un borghese)
Scrivere molti libri non ha fine, e il molto studio affatica la carne.
(Ecclesiaste)
La disciplina che si identifica con l’educazione delle facoltà intellettuali, si identifica anche con la libertà.
[…] La libertà autentica, in poche parole, è intellettuale, riposa nel potere educato del pensiero.
(J. Dewey)
Entrando a scuola tremavo, uscendo da scuola piangevo. Andavo a scuola come si va al patibolo, la mia decapitazione era sempre soltanto rinviata, e questa era per me una tortura.
(T. Bernhard, Un bambino)
Le scuole sono soltanto fabbriche di imbecillità e di depravazione.
(T. Bernhard, Un bambino)
È la scuola in sé, sosteneva mio nonno, che assassina il bambino.
(T. Bernhard, Un bambino)
Secondo l’idea del contadino, lo scolaro lo si frusta e lo si deve frustare: che scolaro è mai, pensa, se non lo frustano? Se ora gli dico che non ci frustano, per lui è un dispiacere.
(F. Dostoevskij, I fratelli Karamazov)
Non si è mai troppo vecchi per imparare.
(Seneca)
Lo studio del diritto rende gli uomini acuti, curiosi, abili, pronti all’attacco, svelti nella difesa e pieni di risorse. I giuristi si avvedono a distanza del malgoverno e fiutano l’avvicinarsi della tirannia in ogni venticello infetto.
(E. Burke)
Non scuola la diresti, ma sala di tortura: non vi si sente altro che lo schiocco delle sferze, lo strepito delle verghe, gemiti, singhiozzi e atroci minacce. Cos’altro possono impararvi i bambini, se non a odiare la cultura? Una volta che quest’odio ha messo radice nei teneri animi, anche da grandi detestano lo studio.
(Erasmo da Rotterdam, Per una libera educazione)
Ciò che oggi scriviamo sulla lavagna, domani lo cancelleremo.
(B. Brecht, Galileo)
L’educazione, ha spiegato il Presidente Shirley M. Tilghman, non consiste tanto nell’acquisire specifiche conoscenze in questo o in quel campo del sapere, ma nell’imparare gli strumenti intellettuali necessari per distinguere la realtà dall’immaginazione, saper porre domande difficili, saper osservare e interpretare, elaborare ragionamenti coerenti, imparare ad ascoltare le idee degli altri senza rinunciare alle proprie.
(M. Viroli)
Dei 20 milioni di italiani che leggono almeno un libro l’anno, soltanto il 18 per cento lo acquista per motivi di lavoro e aggiornamento professionale. In Spagna siamo al 59 per cento, in Francia al 52, in Germania al 63. Dovremmo perciò incominciare a chiederci, quando andiamo, per esempio, dal commercialista se sarà veramente in grado di farci la dichiarazione dei redditi. Quanto aggiornati sono i i professionisti, quelli che dovrebbero guidare l’Italia nelle sfide globali? Pochissimi. La situazione è grave. Non parliamo poi dei nostri insegnati: il 25 per cento non legge nessun libro, nemmeno per svago. Eppure sono loro che formano i ragazzi, toccherebbe a loro trasmettere la passione per la lettura e gli strumenti per praticarla.
(I. Cecchini, direttore dell’Associazione italiana editori)
I libri costituiscono un mezzo impagabile per allenare la mente, arricchire il linguaggio, affinare le nostre capacità, anche e soprattutto nelle cose pratiche, dalle dichiarazioni d’amore ai colloqui di lavoro. Aggiungerei che qualsiasi libro è la chiave per conoscere un’anima; anzi, più di una sola: almeno l’anima dell’autore e quella del lettore suo “complice”.
(G. Giorello)
Il dilettantismo degli esperti è il più penoso, la cosa impressionante dei cosiddetti esperti è sempre il loro sconfinato dilettantismo. Se le dico – avrebbe detto Konrad – che ho esaminato a fondo ben duecento dissertazioni sull’udito. Neanche l’ombra di un processo ideativo – avrebbe detto Konrad – solo ruminanti accademici.
(T. Bernhard, La fornace)
I Bignami, i riassuntini per studenti svogliati, in America si chiamano Cliff Notes. Li cita James Sallis, l’autore di Cypress Grove Blues […].
(A. D’Orrico)
Sono un italiofono naturale. […] Imparai il veneto quando andai a scuola, a sei anni, perché i compagni di classe schernivano il mio comico eloquio.
(S. Lanaro)
[…] Sto parlando qui di una mia vecchia debolezza che è quella di occuparmi a ore perse di cose che non capisco, non per edificarmi una cultura organica, ma per puro divertimento: il diletto incontaminato dei dilettanti. Preferisco orecchiare che ascoltare, spiare dai buchi di serratura invece di spaziare sui panorami vasti e solenni; preferisco rigirare tra le dita una singola tessera invece di contemplare il mosaico nella sua interezza […]
È certamente un vizio, ma fra i meno nocivi; al di fuori della lettura, si manifesta nella tendenza a fare le cose che non si sanno fare; così operando, può anche capitare che si impari a farle, ma questo è un accidente, un sottoprodotto: il fine principale è il tentativo in sé, il libertinaggio, l’esplorazione.
Ricordo di aver letto molto tempo fa, su questo argomento, un bellissimo saggio, naturalmente dilettantesco, del povero Paolo Monelli: si intitolava Elogio dello schiappino, e lodava chi si arrabatta a fare i mestieri altrui, l’autodidatta […]
(P. Levi, Le parole fossili, in L’altrui mestiere)
Lo studio universitario uccideva in noi ogni possibilità creativa.
(V. Trevisan, I quindicimila passi)
“Guardatevi dai tipi silenziosi. Quelli assimilano tutto”.
(S. Turow, Harvard, facoltà di legge)
Educare gli studenti a confrontarsi con le strutture materiali dei testi, ma anche al dialogo con i dati esistenziali che la letteratura è capace di enucleare. Far capire, cioè, che le opere letterarie parlano di noi, della vita, dell’amore, del dolore, della morte. Cioè di quelle cose che riguardano ogni esistenza, a un livello profondo, oltre al qui e ora della banalità consumistica nella quale siamo immersi tutti i giorni.
(G. Ferroni, intervista a Letture, ottobre 2006)
La lezione magistrale è diventata inutile dopo l’invenzione di Gutenberg.
(Siguier)
Noi per tradizione e cultura ci ritroviamo ancora con l’idea del “licenziato”, del “laureato”, di colui che ha ottenuto un diploma con degli esami finali. Un’eredità che arriva almeno dal Trecento. Gli esami finali e il titolo di studio spesso danno di per sé una posizione sociale e culturale definita, riconosciuta da tutti, degna di deferenza da parte degli altri. Perciò l’importante è arrivare a quel titolo, non ciò che uno realmente sa.
(P. Davigo, La giubba del re. Intervista sulla corruzione)
I tentativi di creare bambini e adolescenti supercapaci mediante stimolazioni ed educazioni intensive hanno prodotto poco o nulla: tutt’al più, particolari sforzi educativi producono una precocità transitoria che si riassorbe dopo la fine degli anni di sperimentazione.
(G. Jervis, Prime lezioni di psicologia)
Lo psicologo dell’Asl dice che i miei alunni hanno seri disturbi comportamentali. Secondo la sua analisi sono disciplinati e responsabili per colpa di un’educazione autorevole che ha represso i loro istinti più creativi. Grande colpa va anche alla famiglia. Ha chiesto al preside che alla classe venga assegnato un insegnante di sostegno di estrazione sindacale e sessantottina. Ora sono più tranquilla.
(Adele Z. La mia vita senza bulli. Il diario di una professoressa frustrata)
Sanno tante cose, ma sono tutte sbagliate.
(F. Knight, economista)
Si impara quando c’è entusiasmo, quando c’è passione, quando si pensa di poter fare la differenza; quindi piantiamola con le reti accessibili a pochi privilegiati (“la futura classe dirigente”) e ritorniamo con entusiasmo e passione in aule aperte a tutti.
(E. Bencivenga, La Stampa 11-04-07)
Troppa scuola fa male. Passare tante ore a scuola mette inevitabilmente nella stanca condizione di non riuscire più a stare con gli occhi sopra un libro: come si fa a studiare, con la testa appesantita dall’interminabile mattinata piena di parole e brusii? Resta soltanto la voglia di svuotarla, quella testa. E poi, il proprio dovere di studente si compie già egregiamente restando tanto tempo davanti agli insegnanti. Ascoltando (o fingendo di ascoltare) quel che hanno da dire. La bulimia di ore a scuola finisce insomma per scoraggiare, anzi azzerare, l’altro tempo dell’istruzione: lo studio. L’impegno individuale a tu per tu con se stessi.
[…] Ora invece l’apprendimento è diluito lungo un calendario interminabile, la materia è fornita in dosi omeopatiche, per lo più insapori. E lo studio, quello vero che si fa a casa, da soli con se stessi – con le proprie limitazioni e i progressi, con la fatica e la furbizia, con la noia e l’entusiasmo: tutto serve per crescere – quello studio, di fronte a duecento e otto giorni di scuola, diventa purtroppo un ingombro superfluo.
(E. Loewentahl, La Stampa 25-05-07)
Copiare e fare copiare è un dovere, un’espressione di quella lealtà e di quella fraterna solidarietà con chi condivide il nostro destino. Passare il bigliettino al compagno in difficoltà insegna a essere amici di chi ci sta a fianco.
(C. Magris)
La lista delle prime 20 persone più ricche del mondo è fatta quasi tutta di “dropout”, ex ragazzi buttati fuori dalla scuola superiore o dall’università.
(P. Pontoniere, L’Espresso 12.7.2007)
Parmi d’aver per lunghe esperienze osservato, tale essere la condizione umana intorno alle cose intellettuali, che quanto altri meno ne intende e ne sa, tanto più risolutamente voglia discorrerne, e che all’incontro, la moltitudine delle cose conosciute ed intese renda più lento e irresoluto il sentenziare.
(G. Galilei)
Penso che tra gli elementi che hanno fatto di me uno scienziato di successo c’è stato anche il fatto che il sistema educativo non sia riuscito a distruggere la mia curiosità.
(J.C. Venter, A Life Decoded)
Luca Blandino, professore di filosofia al Liceo, si i cinquant’anni, alto, magro, calvissimo, ma in compenso enormemente barbuto, era un uomo singolare, ben noto in paese per le incredibili distrazioni di mente a cui andava soggetto. Aggiogato per necessità e con triste rassegnazione all’insegnamento, assorto di continuo nelle sue meditazioni, non si curava più di nulla né di nessuno.
(L. Pirandello, L’esclusa)
[…] io non ero scappato dal ginnasio per inettitudine, bensì per avversione.
(T. Bernhard, La cantina)
Tag:aforismi, Berardinelli, centro studi ulisse, Croce, csu, cultura, Levi, Obligado, scafati